8. L’Imperial Regio Liceo del Brenta (1815) e il Ginnasio Comunale di Padova (1815-1816)
Il 7 aprile 1815 Francesco I d’Asburgo, Imperatore d’Austria, fondò, con propria Patente Sovrana, il Regno Lombardo-Veneto, comprendente tutti i territori ex-italiani assoggettati ormai all’Austria (tranne la Dalmazia, l’Istria e l’Alto Adige) e di cui egli stesso era il Sovrano. Lo faceva proprio per venire incontro al sentimento nazionale italiano, su cui stava facendo leva proprio in quel preciso istante Gioacchino, Re di Napoli, in guerra contro l’Austria e ormai giunto sulle rive del Po ossia al confine dei domini austriaci. E anzi Francesco I poneva tale nuovo Regno come l’erede del Regno d’Italia, con la stessa Corona d’Italia ossia la Corona Ferrea, con lo stesso Ordine, quello appunto della Corona di Ferro, e sempre con un Vice-Re, residente nella medesima capitale cioè Milano. Ma la nuova realtà era ben diversa. Il nuovo Regno non era più d’Italia. Per sua bandiera non aveva più il Tricolore Italiano, bensì l’attuale vessillo austriaco. E non era più “uno e indivisibile” cioè unitario, bensì federale, formato cioè dal Governo Milanese (per la Lombardia) e dal Governo Veneto (per il Veneto), sottoposti ciascuno a un Governatore, che doveva risiedere rispettivamente a Milano e a Venezia. E ciascun Governo (con dirigenti centrali e provinciali di regola Tedeschi) non aveva più alcuna competenza vera, bensì doveva limitarsi, anche per le più minute pratiche amministrative locali, a eseguire le relative direttive emesse dai rispettivi Ministeri dello stesso Governo Imperiale Austriaco a Vienna. Queste erano le abissali differenze tra il Regno d’Italia e il Regno Lombardo-Veneto ossia, come si suol dire, tra il “dominio francese” e il “dominio austriaco”. Inoltre era prevista la sostituzione dei Dipartimenti con le Province e dei Prefetti con i Regi Delegati Provinciali. L’8 aprile 1815, poi, con altra Patente Sovrana, Francesco I prescrisse ai sudditi del nuovo Regno un apposito “giuramento di fedeltà e di sudditanza” a Francesco I e ai suoi successori nelle mani del suo plenipotenziario, suo fratello Giovanni d’Asburgo Arciduca d’Austria, per il Veneto il 7 maggio 1815. E avrebbero dovuto farlo personalmente pure i “superiori delle università e de’ licei”, compreso dunque Felice Dianin. Esattamente l’inverso di quanto avevano fatto Scopoli, Vaccari, Melzi, Eugenio e lo stesso Napoleone, quando avevano giurato, loro, fedeltà al Regno d’Italia e alla sua Costituzione!
Nel frattempo, nel Collegio di Santa Giustina a Padova si consumò la resa dei conti fra Barnaba e Macconcini. Fiandrini riportò, sotto il 10 aprile 1815, che, con la mediazione del nuovo Prefetto del Brenta, Marc’Antonio Pasqualigo, Barnaba cedette a Macconcini il Collegio “con tutti i titoli, onori, crediti, debiti, mobilie ecc.” e quindi già da allora Macconcini divenne il nuovo Rettore del Collegio di Santa Giustina. Dopo quattro anni esatti dalla sua fondazione.
Il 16 aprile 1815, poi, si rese noto che il Feldmaresciallo Heinrich Conte von Bellegarde era stato nominato a Luogotenente del Viceré Lombardo-Veneto, ancora da designare. Due giorni dopo, il 18 aprile 1815, Francesco I ripristinò le corporazioni ecclesiastiche, compresi i Benedettini e gli stessi Somaschi, che poterono così riprendere il loro abito religioso anche a Santa Giustina, accentuando in senso ecclesiastico il carattere privato del Collegio. Il 24 aprile 1815, con una nuova Patente Sovrana, Francesco I elevò anche Padova a “città regia”, concedendole perciò di avere un proprio stemma e di inviare un proprio deputato sia alla Congregazione Centrale del Veneto, sia alla propria Congregazione Provinciale. E con altra Patente Sovrana del medesimo giorno istituì appunto tali Congregazioni. Ognuna era composta solo da Nobili e da Non Nobili, entrambi comunque Possidenti. Solo alle Città Regie veniva concessa la possibilità d’inviare persino Commercianti. In nessun caso era prevista invece la partecipazione del secondo dei tre ranghi dei Collegi Elettorali del Regno d’Italia cioè di quello dei Dotti. Anzi venivano esclusi tassativamente da tali Congregazioni tutti i lavoratori dipendenti, in particolare quelli pubblici e soprattutto quelli statali.
Figura 28. Medaglia del Giuramento di fedelt dei Veneti a Francesco I d’Asburgo Re Lombardo Veneto, Venezia 7 maggio 1815 |
Un mondo rovesciato. Fu in esso che si svolse, il 7 maggio 1815, nella Basilica di San Marco a Venezia, di fronte all’Arciduca d’Austria Giovanni d’Asburgo, la cerimonia del “giuramento di fedeltà e di sudditanza” a Francesco I e ai suoi successori (vedi immagine della medaglia commemorativa, FIG. 28), prestato direttamente anche da parte di Felice Dianin, a nome di tutti i Professori del Liceo del Brenta. Appena due giorni dopo, il 9 aprile 1815, lo stesso Giovanni d’Asburgo, assieme a Bellegarde e al nuovo Governatore Veneto, Peter Conte von Goëss, si recò a Padova. La mattina dopo, il 10 maggio 1815, alle ore 9.30, accolte dai Collegiali, le tre eminenti personalità austriache visitarono la Basilica di Santa Giustina, entrarono nell’ex-Monastero dalla parte della Sacrestia, percorsero tutti i Chiostri (del Capitolo, della Cucina, Dipinto, del Noviziato, e della Porta) salirono in carrozza e uscirono, dirigendosi per Porta Santa Croce, verso Legnago, Mantova, Milano, Genova, Torino, allo scopo di raggiungere l’austriaca Armata d’Italia, diretta in Francia contro Napoleone. Sia pur per meno di un’ora il Collegio aveva avuto la visita di altre tre autorevoli personalità politiche, stavolta austriache (vedi immagini, FIGG. 29, 30 E 31, la terza del 1837), di rango ancor maggiore di quelle precedenti, italiane.
Figura 29. L’Arciduca d’Austria Giovanni d’Asburgo, Venezia 7 maggio 1815 |
Figura 30. Il Feldmaresciallo de Bellegarde, Luogotenente del Vicer Lombardo- ‐Veneto, 1815 |
Figura 31. Peter von Go ss Governa- ‐ tore del Veneto (ritratto del 1837) |
Il 17 maggio 1815 Barnaba lasciò per sempre il Collegio di Santa Giustina e Padova, ritornando definitivamente a Venezia. E l’indomani, 18 maggio 1815, poté così svolgersi, sia pur con notevole ritardo, la cerimonia d’inaugurazione del secondo semestre dell’anno scolastico, con la Prolusione, “sull’Educazione Scientifica della Gioventù”, tenuta stavolta dallo stesso Francesco Maria Franceschinis.
Figura 32. Francesco Maria Fran- ‐ ceschinis (con l’insegna di Cava- ‐ liere di III Classe dell’Ordine au- ‐ striaco della Corona Ferrea). Figura 33. Girolamo Venanzio (foto del 1870 circa). Figura 34. |
Franceschinis (vedi immagine FIG. 32) era stato già Professore di matematica nell’Università di Bologna, di metafisica nell’Università della Sapienza di Roma, di matematica applicata nell’Università di Padova, membro delle Accademie di Torino, di Padova e di Napoli, nonché della stessa Società Italiana dei Quaranta, della Commissione Idraulica di Padova, dello stesso Collegio Elettorale dei Dotti del Regno d’Italia, persino Reggente dell’Università di Padova, ma, appena gliene si offrì l’occasione, tradì la causa nazionale italiana, in quanto accorse a offrire i suoi servigi alle truppe austriache appena arrivate a Padova il 26 aprile 1809. Quando, poche settimane dopo, vi ritornarono le truppe franco-italiane, era stato destituito sia dall’incarico di Reggente, sia dal ruolo di Professore Universitario. E non era riuscito nemmeno a farsi assumere come Professore di geometria e algebra in una delle cattedre liceali che dovevano essere aggiunte al Ginnasio di Padova, in quanto la sua candidatura venne subito respinta dallo stesso Scopoli. In compenso, quando gli Austriaci ritornarono definitivamente a Padova, gli restituirono subito la cattedra universitaria e anzi, nel 1814, non solo lo fecero di nuovo Rettore dell’Università, ma, al contrario dei suoi predecessori e dei suoi stessi successori, poté tenere tale incarico per ben due anni e a esso si aggiunse persino quello di Ispettore di tutta la Pubblica Istruzione del Dipartimento del Brenta, incaricato della gestione della riforma dell’Università e della connessa liquidazione del Liceo del Brenta. Per il momento Franceschinis puntò peraltro solo a risollevare la brutta situazione - gli allievi erano in tutto appena 76 - del Collegio di Santa Giustina, assumendone la Presidenza ossia mirando a sostituire in qualche modo il congedatosi Barbieri e in tale veste tenendo appunto tale Prolusione di Studi. Ma mise anche le cose ben in chiaro: si fece collocare al di sopra della testa il ritratto di Francesco I e ottenne la partecipazione all’evento non solo del Podestà Girolamo da Rio, ma anche del Prefetto Pasqualigo e persino del Vescovo, Francesco Scipione Dondi dall’Orologio. Come dire: qui la salvezza del Collegio, e precisamente come istituzione privata ecclesiastica, ce la si gioca tutti insieme, sotto l’egida dell’Austria, con la presenza locale dello Stato, nell’alleanza fra trono e altare. E provvide persino a far invitare a pranzo, cosa mai successa, anche i Professori del Liceo, per tentare di ricucire i dissapori con il Collegio.
E proprio il Liceo si avviava ormai a concludere il proprio anno scolastico. Il 15, 17 e 18 luglio 1815, infatti, si svolsero gli esami finali, alla presenza del delegato del Prefetto, il Conte Alvise Mussato. Il 20 luglio 1815 il Collegio dei Docenti valutò poi gli elaborati migliori in vista del-l’attribuzione dei premi. E finalmente il 24 luglio 1815 si svolse la cerimonia di premiazione degli allievi meritevoli e di proclamazione di quelli “patentati” [22], alla presenza di Dianin, dei Professori e degli Studenti del Liceo, di Macconcini, dei Maestri e dei Convittori del Collegio di Santa Giustina, del predetto delegato del Prefetto, Alvise Mussato, e dello stesso Segretario Generale della Prefettura, incaricato della consegna dei premi, un giovanotto di appena 24 anni, ma laureatosi in giurisprudenza già a 20 anni e molto stimato da Dianin: Girolamo Venanzio. La cerimonia fu aperta con un discorso dello stesso Dianin, che, forse conoscendo già il proprio futuro prossimo, si limitò a tessere le lodi di Francesco I per la sua riforma della pubblica istruzione. Fu poi la volta della distribuzione dei premi agli studenti più meritevoli. Seguì poi il discorso dello stesso Venanzio agli allievi, in cui tra l’altro disse:
“[…] ricordatevi che l’Italica gioventù deriva da una famiglia […] superba della discendenza dai Romani e dell’eredità dei Greci, e gloriosa di aver nelle arti di pace con questi e con quelli emulato, e che quindi mentre pegli altri di somma lode è l’oprare, per essa di ben maggiore vitupero il non oprare sarebbe; […]fate, per la vostra patria, per le famiglie vostre e per lo stesso nome italiano ve ne scongiuro, fate che quella purissima fiamma di onore e di emulazione ora in voi accesa, sempre, come il mitico fuoco di Vesta, inestinguibile ed immortale ne’ vostri petti viva e risplenda.”
Figura 33. Girolamo Venanzio (foto del 1870 circa). |
(INSERIRE FIG. 33) Queste furono le ultime parole pronunciate pubblicamente da un “adulto” agli studenti del Liceo del Brenta. In realtà, data l’età dell’oratore, si trattò di una sorta di peer education, impartita da un uomo che avrebbe fatto a tempo a pronunciare, nell’I.R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, i caldi discorsi commemorativi per le morti sia di Barbieri nel 1853, sia di Scopoli nel 1855 e persino a farsi fotografare (vedi Fig. 33), dato che sarebbe morto solo nel 1872, quando Padova e il Veneto facevano ormai parte della nuova Italia unita. Ma questa ci sarebbe stata anche per via di quelle lontane parole di Venanzio, che sarebbero state tradotte in fatti, nella successiva vita adulta, proprio dallo Studente che prese allora la parola per ringraziarlo: Nicolò Vergottini. E con queste parole di uno studente si concluse l’ultimo evento pubblico del Liceo del Brenta.
Nel frattempo, nel Ginnasio, la sera del 12 agosto 1815, ebbe luogo un evento insignificante all’epoca, ma importante per la vita futura della scuola: l’arrivo di Giovanni Cerchiari, nato a Este nel luglio 1789 e formatosi nel Seminario, quale nuovo Maestro di “Infima” cioè del primo anno di corso di Grammatica ossia dello stesso Ginnasio di Santa Giustina. Un evento importante perché Cerchiari sarebbe stato l’insegnante “decano” del Ginnasio dal 1819, quando questo sarebbe stato trasferito a Santo Stefano, dove egli avrebbe insegnato anzi sino al 1853. E Cerchiari avrebbe fatto a tempo a vivere, in pensione, sino all’alba del 18 gennaio 1869, quando Padova e il Veneto facevano ormai parte della nuova Italia unita. Pochi giorni dopo, il 16 agosto 1815, iniziarono gli esami finali del Ginnasio, E finalmente, il 21 agosto 1815, si ebbe la giornata conclusiva, che fu aperta da un discorso del Maestro di Rettorica, Antonio Visentini, al quale seguirono i saggi pubblici degli studenti, che tutti i Maestri interrogarono alla presenza del Podestà Girolamo da Rio, di Franceschinis (presentato ormai come il “Prefetto degli Studj” del Collegio) e di Macconcini. Dopo il saggio pubblico ci fu un discorso dello stesso Franceschinis e infine il Podestà da Rio distribuì i premi in medaglie d’argento e diplomi.
Invece si avvicinava ormai la fine per il Liceo. Infatti il 12 settembre 1815 fu comunicata la nuova normativa su “Ripristino dell’Università di Padova e fissazione del corso de’ suoi studj”. In essa veniva stabilito di “ripristinare nella imperial regia università di Padova […] la facoltà di teologia e le cattedre della filosofico-matematica già soppresse dal cessato Governo” italiano. E si concludeva precisando che, in alternativa alla frequenza di queste cattedre universitarie, era comunque possibile “percorrere lo studio biennale filosofico-matematico nei licei di Venezia, Verona, Udine, Vicenza e Treviso”. Il che significava che invece i Licei di Belluno e di Padova erano stati soppressi, il primo per lo scarso numero di studenti e il secondo perché ormai inutile “doppione” della stessa Università.
Figura 34. Felice Dianin come Rettore dell’Universit di Padova nel 1820- ‐21. |
Di conseguenza due dei docenti del soppresso Liceo del Brenta divennero anzi loro stessi titolari di altrettante nuove cattedre universitarie: Dianin assunse già nel settembre 1815 quella di Istruzioni Religiose nella Facoltà Filosofico-Matematica (propedeutica alle altre Facoltà), divenendo persino il Rettore dell’Università (vedi immagine FIG. 34) nel 1820-1821, continuando a insegnarvi, dal 1825 anche Pedagogia, sino al 1834 e morendo poi nel 1841; Fanzago invece divenne, nel 1817, il Direttore della stessa Facoltà Teologica, sino alla morte nel 1823. Già il 3 ottobre 1815 Fiandrini annotava comunque nel suo “diario” come Dianin avesse comunicato a Macconcini di ritenersi libero di rimuovere i tramezzi lignei posti a suo tempo e di disporre così pienamente dei locali del soppresso Liceo del Brenta.
Sembrava così tutto compiuto, nel più completo ritorno all’ancien régime. Eppure gli Austriaci un errore lo commisero sin da allora. Già il 14 settembre 1815, infatti, si emise la “Tariffa delle monete aventi corso nelle Provincie Venete” ossia in Veneto e in Friuli. Essa faceva presente come in tutti i territori austriaci già facenti parte del Regno d’Italia (quindi anche in Lombardia, in Alto Adige, in Istria e in Dalmazia) “le monete, che dal decesso Governo furono legalmente introdotte nelle suddette provincie […] sono riconosciute, e mantenute in corso tuttora con lo stesso valor legale portato dall’ultima tariffa del regime passato.” In sintesi: la valuta unica dell’ex-Regno d’Italia cioè la Lira Italiana continuava a circolare in tutti questi territori come seconda valuta ufficiale a corso legale. Se il movente era quello, finanziario, di un maggior volume monetario in oro e in argento senza dover ricorrere a dispendiose coniazioni di nuovi pezzi, l’effetto politico, devastante, fu quello di mantenere nei cittadini la memoria di un’identità nazionale italiana presente ancora nelle loro stesse tasche, in mano, nelle loro stesse transazioni commerciali, dalle più minute alle più impegnative, alla luce del sole e nella quotidianità della vita. Focalizzando la loro attenzione su un piccolo particolare, che ne divenne il tratto determinante: la Stella raggiante a cinque punte.
Figura 35a+b. Scudo di 5 Lire Italiane circolato nei territori italiani sotto dominio austriaco. A. La Stella raggiante a cinque punte dello Stemma del Regno d’Italia. B. Il contorno con la scritta “Dio protegge l’Italia”. |
E ponendola in connessione con la scritta lungo il bordo delle monete: “Dio protegge l’Italia” (vedi FIG. 35A+B). Il lungo periodo di circolazione legale di tale valuta, coincidente con quello dello stesso dominio austriaco, portò all’identificazione della Stella come la Stella di Dio che protegge l’Italia ossia la Stella d’Italia. E come tale essa trovò già dal 1848 la sua ripresa nell’iconografia risorgimentale, sino a venir recepita, già dal 1861, nella monetazione del Regno d’Italia dei Savoia e, dal 1871, nelle mostrine dei militari italiani (le Stellette), nonché, dal 1880, sulla prua delle navi militari italiane, e dal 1948 nello stemma dell’attuale Repubblica Italiana.
Ma, nel frattempo, l’Austria continuò nella sua trasformazione del Lombardo-Veneto, anche attraverso l’immediata presenza dello stesso Francesco I proprio a Venezia, dove arrivò già il 31 ottobre 1815. Ciò provocò una subitanea e febbrile attività nel Collegio di Santa Giustina a Padova: arrivarono presto nuovi insegnanti, tra cui, l’8 novembre 1815, Giovanni Taldo, Maestro del Seminario di Vicenza, quale nuovo “Maestro di Rettorica” nel Ginnasio, destinato a divenire il secondo insegnante più “anziano” della scuola all’atto del trasferimento di essa a Santo Stefano, ma anche a morirvi già nella primavera del 1823. Il 9 novembre 1815 furono inaugurati anzi, nella Sala delle Accademie, un grande stemma austriaco con l’aquila bicipite e un busto di Francesco I.
Figura 36. Francesco I d’Asburgo nel 1815. |
E il 15 novembre 1815 Fiandrini produsse un elenco di 13 membri del personale, fra cui il Rettore Macconcini, il Vice-Rettore Filippo Manganotti, il Prefetto degli Studi Antonio Visentini (come facente funzione di Franceschinis) e otto Maestri, compresi i due (Cerchiari e Taldo) destinati a trasmigrare a Santo Stefano. In tal modo tutto fu pronto per l’imminente visita di Francesco I (vedi qui) a Padova, dove arrivò alle ore 16.00 del 18 dicembre 1815. Dopo aver visitato tutta la città, egli si recò alle ore 9.30 del 21 dicembre 1815 a Santa Giustina, visitando la Basilica e, come raccontò Fiandrini,
“indi è sortito, ed è entrato in Monastero, ove il Reggente dell’Università Franceschinis con altri Profes-sori lo hanno condotto nella Libreria [la Biblioteca], ove avvi il così detto Istituto Nazionale [la Sezione di Padova dell’I.R. Istituto Italiano di Scienze, Lettere ed Arti]. Poscia il Rettore Macconcini del Collegio, lo ha condotto nelle sue stanze, per vedere i Quadri della Galleria una volta abaziale [la Pinacoteca], poscia a girare [per i locali del Collegio], indi a fermarsi nella Sala delle Accademie, ove eranvi gli 82 Colleggiali in abito nero dall’Anfiteatro, tre de quali avanzatisi innanzi a Lui gli hanno fatto un bellissimo Complimento in versi, che ha molto gradito. Indi è passato a vedere il Teatro, ove eravi la Sala Reggia illuminata, coll’arma imperiale trasparente, e tutti i Collegiali a file doppie nel Parterre […] al Sovrano, che era sul Palco Maggiore.
Figura 37. Il Chiostro del Capitolo a Santa Giustina. |
E’ stato in Refettorio, ed ha osservato tutto, indi fino in Cucina, poi nel Chiostro dipinto, indi nel Capitolo, o Scuola di Rettorica, [il Capitolo, divenuto l’aula della classe dell’ultimo anno di corso del Ginnasio, al piano terra del Chiostro del Capitolo, vedi immagine] indi passando per tutti i Chiostri è sortito, ove alla Porta, come stato nel suo ingresso, eranvi i Collegiali e Maestri, che facevano ala, è stato accompagnato alla Carrozza dal Rettore, e Maestri. E si è portato al Seminario […]. Un’ora dopo ha mandato a chiedere la Pianta del Monastero, ma niuno l’aveva, onde si è mandato a dire, che forse l’avrà il demanio. […]”
In quella breve visita dello stesso Imperatore d’Austria si decisero le sorti di Santa Giustina, del Collegio, del Ginnasio e, a causa di uno dei tre allievi citati, già all’ultimo anno di corso del Ginnasio, le sorti dell’Italia in quanto tale. Per i primi tre temi, infatti, in quella visita Francesco I si rese conto da un lato della dignità delle istituzioni culturali lì presenti, ma dall’altro lato della vastità degli ambienti. E le due cose gli parvero stridere. Perciò chiese una “Pianta del Monastero”. E, una volta ottenutala, dovette trarne conferma della sua impressione visiva: quegli spazi erano troppo grandi per tali realtà culturali, e invece molto più adatti a ospitarne una sola, ma di ben diversa natura, cioè militare.
Figura 38. Lo Stemma del Regno Lom- ‐ bardo- ‐Veneto nella Sovrana coniata dal 1822. |
Con il nuovo anno, anche in Veneto il 1° gennaio 1816 entrò in vigore il Codice Civile Generale Austriaco. Poi, il 1° febbraio 1816, scomparvero Dipartimenti e Prefetti, compresi quelli del Brenta, e subentrarono le Province e i Regi Delegati, compresi quelli di Padova. E l’8 febbraio 1816 il Governo Veneto comunicò l’avvenuto approntamento dello Stemma del Regno Lombardo-Veneto (vedi immagine nel rovescio di una Sovrana, dal 1822 lo “stendardo” aureo opposto al Napoleone Doppio da 40 Lire Italiane). Il 7 marzo 1816, poi, il Governo Veneto comunicò la Patente Sovrana che nominava a Viceré Lombardo-Veneto l’Arciduca d’Au-stria Antonio d’Asburgo.
Nel frattempo il Collegio di Santa Giustina elaborava una “carta d’identità”, destinata a trasmigrare a Santo Stefano e a rimanervi come il più antico documento che è (stato) presente nel “Tito Livio”. Infatti narra un suo Preside che “l’ordinamento delle Scuole di Santa Giustina risulta da una “Informazione spedita” – presumibilmente da Macconcini – “al Sig. Ab. Franceschinis Rettore Magnifico dell’I.R. Università di Padova li 11 Gennaio 1816”, conservata in copia nell’archivio del “Tito Livio””, ma da chi scrive non trovata. Così la riporta il Preside:
“In sei classi è tutta divisa la istruzione, cioè nella Scuola Normale, nella Grammatica Inferiore, nella Media, nella Suprema, nell’Umanità e nella Rettorica; nelle quali, oltre le due lingue Italiana e Latina, l’Eloquenza e la Poesia, s’insegna progressivamente la Storia, la Geografia, la Mitologia e l’Aritmetica., secondo il metodo degli Studj adottato nel Collegio, ed approvato dal Sig. Co. Ab. Franceschinis Reggente dell’I.R. Università di Padova, e Presidente degli Studj del Collegio medesimo di Santa Giustina.
A queste Scuole si aggiungono eziandio quelle delle tre lingue Greca, Tedesca e Francese, di Calligrafia, di Declamazione e delle Arti belle e cavalleresche, cioè di Architettura, Ornato, di Ballo e di Cavalcata.
Ogni mese il Vicepresidente degli Studj visita le Scuole suddette, ed esamina la diligenza e il profitto degli alunni. A Pasqua e in Agosto si tengono gli Esami generali alla presenza del Sig. Presidente degli Studj; e al termine dell’anno scolastico si dà un pubblico Saggio di Studj, dopo il quale si dispensano i premi a quelli che si sono distinti.
La disciplina è particolarmente affidata al Sig. Vicerettore. I convittori, che ascendono presentemente al numero di ottantotto, sono divisi in sei Camerate così distinte: de’ minimi, de’ piccoli, de’ mezzanelli 1° e 2°, de’ mezzani e de’ grandi. Ciascuna ha un Prefetto, che sopravveglia alla condotta degli alunni in tempo di ricreazione e di studio, e gli accompagna al passeggio. I prefetti dipendono dal Vicerettore. Quanto alla morale istituzione de’ giovani, essi ogni giorno recitano le orazioni della mattina e della sera, ed assistono alla Santa Messa nell’Oratorio del Collegio. In tutte le Domeniche si fa loro dal Vicepresidente degli Studj la spegazione dell’Evangelio e vi si aggiunge qualche altra pratica di pietà. Una volta al mese si accostano a’ Sacramenti, oltre alle Feste più solenni. Il Sabato dopo pranzo in tutte le Scuole s’insegna da’ rispettivi Maestri la Dottrina Cristiana. …
Antonio Macconcini, della soppressa Congregazione Somasca, di anni 50, nato in Verona; fu Preposto del Collegio di San Zeno in Monte nella sua patria per tredici anni, ed ora è Rettore del Collegio di Santa Giustina in Padova. …
Da che al Collegio di Santa Giustina fu aggiunto il Ginnasio [1811], gli alunni di esso erano distribuiti per le Scuole del Collegio, e così approfittavano delle lezioni de’ rispettivi Maestri. Il presente Rettore a fine di provvedere alla miglior disciplina ed istituzione de’ convittori, senza pregiudicar quella degli alunni del Ginnasio, ha stimato bene quest’anno [1815-1816], al nuovo aprimento degli studj, di separar questi da quelli, assegnando loro de’ Maestri particolari, che gl’istruiscano, come ché un tale divisamento dovesse aggravarlo di una spesa non tenue. Tre sono dunque i Maestri destinati agli alunni del Ginnasio, per la Scuola Normale, per la Grammatica Inferiore, per la Grammatica Superiore unitamente all’Umanità Minore. Il Maestro della Normale è quello stesso del Collegio, cioè l’Ab. Giovanni Spada; gli altri due pel solo Ginnasio sono l’Ab. Giambattista Piazzetta per la Grammatica Inferiore e l’Ab. Innocenzo Fabris per le altre due classi; e di tutti e tre lo stipendio monta ad annui ducati 700. Ventidue giovanetti concorsero quest’anno [1815-1816] al Ginnasio, quando l’anno passato [1814-1815] ascendevano a cinquantadue, e di essi quattro sono nella Normale, sei nella Grammatica Inferiore, e il resto nell’altre due classi superiori. Su la loro diligenza nello studio, oltre ai Maestri, veglia anche il Vicepresidente degli Studj del Collegio, che ogni mese pur visita le loro (Scuo)le; e la loro disciplina è raccomandata al Vicerettore del Collegio medesimo, il quale osserva i loro (comporta)menti e quando entrano, e quando escono dal Ginnasio”.
Esiste invece, tuttora, nel “Tito Livio” un documento, che, pur privo di data, è forse l’unico documento vergato a Santa Giustina che si sia conservato a Santo Stefano, perché è strettamente collegato e del tutto contemporaneo all’”informazione” di cui sopra: la “Tavola rappresentante lo stato del Ginnasio di Santa Giustina”. Essa riprende in sintesi quanto già detto per il Ginnasio, aggiungendo l’età dei tre Maestri, la motivazione della drastica diminuzione degli allievi cioè l’avvenuta “soppressione del Liceo”, nonché i “Libri d’istruzione”.
Poco dopo, il 12 marzo 1816, piombò come un fulmine a ciel sereno a Santa Giustina la notizia, riportata da Fiandrini, che Francesco I, a Milano già il 29 gennaio 1816, un mese dopo la sua visita, aveva emanato un Decreto con cui destinava l’ex-Monastero di S. Giustina a sede dell’Ospedale Militare, trasferiva il Collegio a Santo Stefano e spostava la qui presente Corte di Giustizia prima a San Gaetano e poi nella Sala della Ragione. Perché un Ospedale Militare? Per-ché Padova non ne aveva mai avuto uno, ma ora era la città che sin dal 5 novembre 1813 era diventata, e restava, la sede, ubicata a San Gaetano, dell’I.R. Comando Generale negli Stati Veneti, dal 1815 affidato al generale Christoph von Lattermann. E infatti sin dal novembre 1813 si era creato l’Ospedale Militare, requisendo lo stesso Ospedale Nuovo (l’attuale Ospedale Vec-chio). Ma sin dall’aprile 1814 il Comune di Padova esigeva la restituzione del medesimo edificio all’originaria destinazione civile. E si trattava dunque di trovare per l’Ospedale Militare una nuova sede, che lo stesso Francesco I individuò in Santa Giustina. In realtà la notizia era pervenuta già dal Governo Veneto al nuovo Regio Delegato Provinciale, Andrea Tornieri, con queste parole:
“Sua Maestà l’Imperatore Re con sua Sovrana Risoluzione 28 gennaio p.p. […] si è degnata di determinare che l’ospedale nuovo di Padova sia restituito agli antichi suoi usi, il locale di S. Giustina adattato in uno spedale militare, la Corte di Giustizia dal locale di S. Stefano traslocata a quello di S. Gaetano, e che il convitto sia da stabilirsi a S. Stefano, riunendovi anche il ginnasio, quando però anche per questo vi fosse spazio sufficiente.”
La reazione di Tornieri fu immediata, dato che aveva incaricato già il 6 marzo 1816 l’Ingegne-re in Capo del Circondario idraulico di Padova, Antonio Boni,
“… di formare sul momento il progetto ed il preventivo per il collocamento della Corte di Giustizia a S. Gaetano […] Il detto ingegnere in capo compilerà con eguale premura un altro progetto e preventivo per l’adattamento di S. Stefano in un convitto capace di 200 giovani, proponendo pure il collocamento del ginnasio nello stesso locale […] Si occuperà il detto ingegnere in capo alla compilazione d’un ben combinato progetto di trasformare la fabbrica di S. Giustina in una Spedale Militare capace di 1200 sol-dati ammalati. […]
Era un lavoro assai complesso. E ci volle tempo. Tanto tempo da far mutare, almeno in parte, il progetto stesso.